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Non solo buio

NON SOLO BUIO:

LA SENSAZIONE DEL COLORE NEI CIECHI PRIMARI

di Daniela Floriduz *

Ciechi primari e colori: un binomio inconciliabile?

Partiamo da un dato di realtà, talmente scontato ed evidente che sarebbe quasi tautologico volerlo ribadire: i non vedenti dalla nascita non possono percepire fisicamente il colore. Se ci atteniamo ad una descrizione puramente fisiologica e biologica, infatti, possiamo affermare che la percezione del colore non è altro che la capacità del sistema oculo-cerebrale di decodificare una particolare lunghezza d'onda, che viene poi definita e classificata secondo la categoria di un determinato colore, al quale viene assegnata un'etichetta verbale e linguistica, in modo da poter essere condiviso e riconosciuto da tutti i parlanti "vedenti".

Il colore, dunque, non sarebbe un'idea innata, facente parte del nostro patrimonio genetico acquisito con il Dna; lo sosteneva già il filosofo John Locke, padre dell'empirismo classico inglese, il quale, nel 1694, scriveva: «Infatti mi si concederà facilmente, credo, che sarebbe incongruo supporre che le idee dei colori siano innate in una creatura alla quale Dio ha dato la vista e il potere di riceverle con gli occhi dagli oggetti esterni; e non sarebbe meno irragionevole attribuire molte verità alle impressioni della natura o ai caratteri innati, quando possiamo osservare in noi stessi facoltà adatte per acquisire una conoscenza di esse altrettanto facile e certa come se fossero originariamente impresse nel nostro spirito.» (Locke, p. 14).

Per suffragare ulteriormente queste considerazioni, potrei citare anche la mia personale esperienza, in particolare quella onirica. L'estate scorsa, ho collaborato con una ricercatrice dell'università di Bologna, registrando per lei i miei sogni ogni mattina, appena sveglia,analizzandoli sulla base di un questionario che mi era stato fornito. L'esperimento aveva la durata di quattordici giorni. Tra i ricordi onirici strappati alla mia memoria notturna, non figuravano assolutamente elementi cromatici. Sono non vedente dalla nascita a causa di una malformazione retinica fetale, quindi non ho mai avuto una percezione visiva del colore. Tuttavia, in uno di questi sogni, ricordo che stavo imbrattando un cartellone con dei colori a dita: ne sentivo l'odore dolciastro e pungente, la consistenza sui polpastrelli, l'effetto di porosità lasciato dalla pasta colorata sulla carta. Il sogno mi suscitava sensazioni di grande libertà, collegate all'esperienza infantile: attorno a me, infatti, vi era un gruppo di bambini vocianti, il cartellone era steso sul pavimento, la situazione era ludica e priva di inibizioni. Certamente, non ricordo quali tinte stessi usando, forse perché, non riconoscendole nella vita reale, non posso neppure trasferire a livello onirico i contenuti di questa mancata esperienza.

Sulla base di queste considerazioni, si potrebbe ritenere che l'indagine sul rapporto tra ciechi primari e colori sia una ricerca oziosa e accademica. Si potrebbe affermare che i ciechi primari siano abilitati a parlare del colore solo per via metaforica, peraltro cadendo in quel verbalismo linguistico tanto stigmatizzato dai tiflologi come poco concreto, fuorviante rispetto all'esperienza reale, al punto da indurre nel non vedente una sorta di autismo cognitivo. Si potrebbe pensare che, anche supponendo di assegnare valore di verità a questa "esperienza" traslata e metaforica del colore da parte dei ciechi primari, essa non aggiunga nulla all'universo percettivo dei normovedenti, per i quali l'idea del colore, pur essendo secondaria, per usare il lessico di Locke, cioè frutto di una modificazione dei nostri sensi in presenza di un dato oggetto, manterrebbe comunque un carattere di universalità e "oggettività", poiché derivante comunque dall'esperienza.

Nel breve spazio di questa relazione, proverò a gettare un'altra luce su queste considerazioni in apparenza tanto evidenti da non aver bisogno di argomentazioni, utilizzando in parte alcune letture personali, ma, soprattutto, servendomi di riflessioni tratte dal mio vissuto.


 * Daniela Floriduz è nata a Pordenone nel 1972. Ha frequentato le scuole dell’obbligo e il liceo nella sua città. Nel 1996 ha conseguito la laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Trieste e nel 2003 ha ottenuto il titolo di Dottore di Ricerca presso lo stesso Ateneo. Attualmente insegna Storia e Filosofia presso il Liceo Scientifico “Ettore Majorana” di Pordenone. E’ vicepresidente della locale sezione dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ed è membro della Commissione Nazionale Uici per la tutela dei diritti degli insegnanti.

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